Introduzione:
Cenni sui rapporti tra Giappone e Italia nel periodo 1937-1940 ~ Maurizio Bertolotti


Nel novembre del 1937 l'Italia aderì al patto che un anno prima era stato stretto tra Giappone e Germania. L'accordo - la cui principale finalità era di contrastare l'opera dell'Internazionale comunista - fu sottoscritto da Ciano per l'Italia, da von Ribbentrop per la Germania e dall'ambasciatore Hotta per il Giappone. Un secondo patto tripartito fu siglato i127 settembre 1940, quando la guerra era già in corso, per definire i termini dell'alleanza militare tra le tre potenze.

Nei tre anni compresi tra questi due fondamentali patti, i rapporti tra Giappone e Italia si fecero sempre più stretti. Ai contatti politici e diplomatici fecero seguito accordi economici e commerciali. In seguito al riconoscimento da parte del Giappone della sovranità italiana sui territori dell'Africa orientale, veniva dischiuso al Giappone l'accesso ai mercati delle nuove colonie italiane.

Nel contempo si stabilivano relazioni culturali e si sviluppava tra i due popoli una corrente di interesse che non aveva riscontri nel passato. Del Giappone e dei giapponesi, così come di altri popoli dell'Asia orientale, gli italiani avevano infatti allora una nozione ancora assai vaga e imperfetta. A una migliore conoscenza dell'Impero del Sol Levante contribuì in questi anni in modo particolare la stampa. Anche sui piccoli giornali di provincia non passava giorno che non si parlasse del Giappone. La maggior parte degli articoli trattava naturalmente di argomenti politici e militari (specialmente assidue erano le cronache relative al conflitto tra Cina e Giappone), ma non mancavano note di costume, ragguagli sull'economia e la società giapponesi, informazioni di carattere antropologico ed etnografico.

Anche le visite dei diplomatici nipponici offrivano agli italiani l'occasione di farsi un'idea più chiara e più precisa dei nuovi amici e alleati asiatici, sebbene i parallelismi che in tali frangenti venivano avanzati appaiano oggi un poco forzati. Notevole sotto questo profilo fu ad esempio la visita che l'inviato giapponese, barone Okura, effettuò in Italia nei mesi di novembre e dicembre del 1937, subito dopo la firma del patto tripartito. Nel suo viaggio Okura toccò le principali città, visitò aziende agricole, fabbriche, uffici e si spinse sin nei territori coloniali. Animato dal desiderio di consolidare l'unità tra i due stati e di favorire la nascita di caldi sentimenti di amicizia e di solidarietà tra i due popoli, Okura sottolineava volentieri nei suoi discorsi pubblici le analogie tra i due paesi. Alle somiglianze nella conformazione geografica si accompagnavano, secondo l'inviato giapponese, significativi parallelismi storici. Entrambi i paesi erano giunti all'unificazione nazionale nell'ultimo trentennio dell'Ottocento e si erano sviluppati rapidamente nella prima parte del nuovo secolo sotto la spinta di un impetuoso aumento della popolazione. Essendo d'altra parte entrambi poveri di risorse naturali, la sovrabbondanza della popolazione poneva loro l'esigenza di una rapida espansione. Non v'era dunque da sorprendersi - concludeva Okura - che tra i due popoli si fosse sviluppata un'analoga mentalità. Opinioni del genere, riprese con grande evidenza dalla stampa, erano naturalmente destinate a incoraggiare la curiosità degli italiani nei confronti del Giappone. Nel clima di esaltazione militarista allora dominante in Italia, era comunque soprattutto la potenza bellica del presente a colpire la fantasia dei giovani e dei meno giovani, esposti all'assordante propaganda del regime. Se l'entusiasmo per l'asse Roma-Berlino-Tokio induceva allora molte famiglie a battezzare con il nome di Rober-to i loro neonati maschi, nell'idea che allora i bambini si facevano del presente (e che essi trasferivano nei loro disegni) finivano per prevalere le immagini e i simboli della guerra.

A quanto pare, non ugualmente caratterizzate in senso militarista erano invece le rappresentazioni dei bambini giapponesi. Si tratta certamente di una circostanza significativa, che forse si può ricondurre alla diversità del sistema scolastico giapponese, nel quale l'educazione non era condizionata dall'ideologia e dalla pratica totalitaria così come accadeva in Germania e in Italia.